ANNO 14 n° 119
Spunto di Vista, Criminalità femminile, cosa spinge una donna a uccidere
>>>>>>> di Elisabetta Zamparini <<<<<<<
26/12/2014 - 01:36

di Elisabetta Zamparini

VITERBO - Sono numerosi i casi di criminalità femminile che attraggono l’attenzione dei media.

Le statistiche mostrano una percentuale nettamente inferiore, ma in aumento, di donne denunciate per omicidio rispetto agli uomini, questo dato è riconducibile a diversità fisiche, fisiologiche ed educative. Alcune teorie recenti sostengono che l'incremento della criminalità femminile è indipendente dal grado di realizzazione sociale raggiunto dalla donna, tuttavia influenzato dai ruoli tradizionali di genere trasmessi, che determinano le differenze dei comportamenti tra uomini e donne.

Le ricerche sull’omicidio femminile evidenziano come generalmente l’evento criminoso si consuma all’interno dell’ambiente familiare, con un movente intrapsichico.

Più frequentemente la vittima è una figura rappresentativa o dell’oppressione vissuta dalla donna per anni, per esempio il padre o il marito, oppure dell’umiliazione affettiva, quindi il marito o l’amante traditore.

Nel momento in cui la donna commette l’atto, supera i propri freni inibitori con lo scopo di ottenere una sorta di vendetta dei propri diritti di moglie, figlia o amante non rispettati. Il movente generalmente è affettivo-passionale e la donna arriva a commettere l’omicidio dopo un lungo periodo di frustrazioni, prevaricazioni e violenze fisiche o sessuali subite dal proprio compagno. L’omicidio è vissuto come l’ultima possibilità per risolvere i vissuti angosciosi.

Quando si parla di infanticidio, spesso le autrici di reati non provengono da ambienti svantaggiati o degradati bensì vivono in contesti medi e con un livello culturale discreto. Questo aspetto pone l’attenzione sul significato del gesto di valenza comunicativa e relazionale, piuttosto che materiale. Nel caso di infanticidio, ovvero entro l’anno di età del bambino, la madre elimina immediatamente la prole, senza aver creato un rapporto e cercando di negare anche la gravidanza; nel figlicidio, invece, il reato avviene quando il legame è già instaurato, quindi è ancora più complesso determinare le cause che hanno spinto all’atto.

Le madri omicide possono commettere l’atto come un omicidio brutale, come una risposta impulsiva al pianto o alle urla del bambino senza una progettualità o provocare la morte a causa dell’incapacità di affrontare i doveri di madre. Ci sono uccisioni che apparentemente non hanno una causa scatenante, altre causate dall’attribuzione di responsabilità delle proprie difficoltà ai figli, oppure commesse a opera di madri affette da psicopatologia o da madri che aderiscono a sette o religioni particolari, provocando indirettamente la morte dei figli.

Indipendentemente dal sesso, chi uccide e commette reati è una persona che ha un comportamento antisociale perché vive un disagio.

Spesso le donne che finiscono in prigione hanno molte più probabilità di venire dai gruppi sociali di livello inferiore, infatti la maggior parte delle detenute ha origini in contesti sociali problematici, oltre ad avere alle spalle storie di abusi sessuali, violenza in famiglia, problemi legati al consumo di droga e un’infanzia drammatica.

La devianza si sviluppa più facilmente tra gli esclusi, tra coloro che vivono ai margini della società o hanno problemi psicologici, quindi la detenzione non basta a debellare il problema e va affiancata ad un percorso di rieducazione.

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